Le Linee guida internazionali sui regimi fondiari come argine al land grabbing

29-5-2012, Cronache Internazionali
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Tania Abbiate

“Nessuno venda la terra su cui il popolo cammina”, recitava la celebre massima attribuita al nativo americano Cavallo Pazzo. Oggi il contesto è però un altro: non sono più infatti le praterie americane, ma è la terra africana a costituire il terreno privilegiato di conquista da parte di investitori internazionali. Il fenomeno è chiamato land grabbing cioè l’accaparramento di terre che comporta la violazione di diritti fondamentali ed implica l’assenza di consenso preventivo, libero e consapevole da parte delle persone espropriate della terra, e negli ultimi tempi ha assunto proporzioni allarmanti. Il progetto “Land Matrix” che unisce organizzazioni accademiche, scientifiche e non governative, ha monitorato le transazioni fondiarie a partire dal 2000, notando che esse coinvolgono più di 56 milioni di ettari in Africa (su un totale mondiale per lo stesso periodo di 227 milioni). Il 70% delle transazioni fondiarie avvenute in questo continente ha interessato undici Paesi (in particolare Sudan, Etiopia, Mozambico, Tanzania, Zambia e Repubblica Democratica del Congo).

Questa corsa all’accaparramento delle terre vede da un lato i Paesi investitori e dall’altro i governi africani, desiderosi di nuove opportunità economiche e difficilmente in grado di opporsi ad allettanti proposte di acquisto; tra i due fuochi, si trovano le popolazioni locali, il cui sostentamento dipende in larga misura dalla terra.

I maggiori Paesi investitori sono: le economie emergenti (in particolare, la Cina che si è ad esempio assicurata 2,8 milioni di ettari di terra per la produzione di olio di palma in Congo, e l’India che attraverso l’azienda Bho Agro Plc, ha ottenuto 27 mila ettari in cui coltivare piante per biocarburante in Etiopia), le monarchie petrolifere del Golfo (il Qatar ha ad esempio acquistato 40mila ettari di terra in Kenya); i grandi gruppi agro-industriali europei ed americani (ad esempio il colosso tedesco Neuman-Gruppe che produce e commercia caffè in Uganda o la New Forest Company, un’azienda britannica specializzata nella produzione di legname). Questi attori sono mossi dalla volontà di assicurarsi un approvvigionamento di cibo a basso costo e/o di lanciarsi nella redditizia produzione di biogas.

Il fenomeno prende forma attraverso la vendita vera e propria, il trasferimento delle licenze di sfruttamento, il finanziamento e la concessione; benché l’accaparramento di terre sia presentato come una strategia volta ad aumentare la produzione alimentare e la creazione di nuovi posti di lavoro, esso comporta un prezzo alto per le popolazioni locali che vengono espropriate dalla terre coltivate e si vedono private di diritti fondamentali – oltre che della loro fonte di sostentamento. L’acquisizione di terra da parte dei grandi inventori internazionali ha poi un impatto negativo sul clima e sull’ecosistema, dal momento che molto spesso vengono promosse coltivazioni intensive per l’esportazione che richiedono un largo consumo d’acqua.

In questo quadro allarmante della situazione, si intravede però qualche schiarita: l’11 maggio 2012, sono state infatti approvate da 96 Stati le Linee guida internazionali per una gestione responsabile dei regimi di proprietà applicabili alla terra, alla pesca e alle foreste. Il documento, frutto di più di tre anni di trattative che hanno interessato Stati, organizzazioni della società civile e rappresentanti del settore privato, è stato approvato dalla Commissione sulla Sicurezza Alimentare Mondiale (Cfs) della FAO, ed è considerato un passo significativo per fronteggiare l’accaparramento delle risorse naturali e rispettare i diritti dei popoli e l’ecosistema.

Le Linee guida offrono suggerimenti ai governi e agli stakeholders riguardo all’amministrazione dei diritti di proprietà sulla terra e sulle risorse ittiche e forestali e contengono alcune specifiche indicazioni volte ad arginare i lati negativi del land grabbing: in particolare, esse intimano agli investitori internazionali a consultare popolazioni locali, a tenere in considerazione le conseguenze degli interventi previsti e a non ignorare i loro diritti consuetudinari.

Scopo finale delle direttive è quello di promuovere la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile, ed è considerato un successo il fatto che gli Stati firmatari abbiano concordato sulla necessità di mettere in atto meccanismi di tutela dei diritti di accesso alle risorse naturali da parte delle popolazioni indigene come complemento indispensabile degli investimenti pubblici e privati, considerati indispensabili per migliorare la sicurezza alimentare dei vari Paesi.

Vale inoltre la pena di sottolineare che le direttive  riconoscono il ruolo chiave delle donne e propongono di riconoscere in capo agli Stati la responsabilità di disciplinare il comportamento delle imprese che investono sulla terra nei Paesi esteri.

Il documento ha natura non vincolante, ma costituisce tuttavia un punto di svolta: esso enuncia alcuni principi su cui soggetti di diversa natura - governi, Ong, imprese private - concordano, in particolare, il riconoscimento e la protezione dei diritti fondiari, la restituzione delle terre a quanti sono stati scacciati ingiustamente, il riconoscimento dei diritti delle comunità indigene e dei gruppi vulnerabili e garanzie di trasparenza per gli investimenti fondiari.

Le direttive nascono inoltre sotto l’egida dell’ONU e ciò conferisce loro ulteriore legittimità  alimentando le speranze di una loro reale applicazione: a partire da questo momento, gli Stati firmatari dovranno – almeno sulla carta – impegnarsi a mettere in atto i principi e le pratiche indicate nelle Linee guida con l’assistenza della FAO, e le organizzazioni della società civile, dal canto loro, ne controlleranno l’applicazione, promuovendo azioni di sensibilizzazione a riguardo.

È quindi vero che l’approvazione delle direttive costituisce solo il primo passo di un lungo percorso ad ostacoli volto ad arginare l’accaparramento delle terre, ma essa rappresenta nondimeno un punto di partenza significativo. D’altra parte, come diceva non Cavallo Pazzo, ma Laozi, “Anche un viaggio di mille miglia inizia con un passo”, no?

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