Gli alberi della discordia

Ambatolahy, Madagascar. Il piccolo Haja Lalaina, presidente del Comité de défense des terres, e i suoi parenti mentre lavorano sulla terra che si sono rifiutati di cedere alla società italiana Tozzi Green © Daniela Sala
Investigative Reporting Project Italy | 11.12.24

Gli alberi della discordia

Dall'Emilia-Romagna fino in Madagascar per i crediti di carbonio. Storia del progetto da 6.700 ettari di Tozzi Green, accusata dalla comunità di aver rubato la terra e distrutto l'economia locale

Lova Andrianaivomanana, Sara Manisera, Daniela Sala

Durante la stagione secca, sull'altopiano di Ihorombe, nel Sud del Madagascar, il vento fresco soffia incessante, accarezzando a ondate gli alti steli dorati di erba rinsecchita. In lingua malgascia, Ihorombe deriva dalla combinazione di due parole: horo, una specie di erba da pascolo endemica del Madagascar, e ombe, zebù.

Non è un caso che questa distesa pianeggiante, una savana quasi priva di alberi, punteggiata da mandrie di bovini alla costante ricerca dei migliori pascoli di horo prenda il nome di "pascolo degli zebù". Da centinaia di anni, infatti, la vita degli abitanti di questa regione remota, a due giorni di viaggio dalla capitale Antananarivo, ruota attorno al pascolo libero e all'agricoltura di sussistenza.

L'allevamento degli zebù, resistenti bovini caratterizzati da una gobba sulla schiena e lunghe corna incurvate, è la principale attività economica nella regione, che scandisce la vita quotidiana della famiglie. Vero e proprio patrimonio del gruppo famigliare, gli zebù fungono da banca e, considerati sacri, incarnano valenze simboliche profonde, che accompagnano la vita delle comunità e le ritualità dalla nascita fino alla morte.

Ogni mattina, alle prime luci dell'alba, la famiglia di Ingahy Rizy si riunisce per la colazione, a base di riso bianco, manioca e caffè. Quando il sole comincia a riscaldare l'erba umida della notte, il recinto degli zebù viene aperto, un compito che di solito spetta agli adolescenti, sotto lo sguardo vigile di Ingahy, l'anziano della famiglia.

L'inchiesta in breve

• Nella remota provincia di Ihorombe, nel Madagascar meridionale, la multinazionale italiana Tozzi Green si è assicurata un contratto di affitto trentennale per 6.700 ettari di terreno
• Gli attivisti locali sostengono che si tratti di un caso di land grabbing da manuale: Tozzi Green ha sfruttato, con il sostegno dei funzionari locali, le ambiguità legali allo scopo di escludere di fatto le comunità indigene. I leader locali hanno riferito di essere stati costretti a firmare documenti in francese, una lingua che non parlano, senza traduzione scritta
• Gruppi di attivisti locali e internazionali contestano la legittimità dei contratti fondiari concessi all'azienda non solo perché ritengono che la comunità locale sia stata privata della propria terra, ma anche perché pensano che sia stata anche danneggiata dalla riduzione dei pascoli per i propri zebù, un'attività chiave su cui ruota l'economia locale
• Queste iniziative vengono vendute come sviluppo sostenibile, ma il beneficio per la comunità locale è discutibile: gli abitanti del luogo hanno riferito che il reinvestimento dell'azienda è di poche centinaia di euro spesi per alcuni banchi della scuola e per uno o due pannelli solari
• Inizialmente destinato alla coltivazione di biocarburante jatropha, il progetto si è ora orientato verso la piantagione di alberi per generare crediti di carbonio. Gli attivisti locali del Comité de défense des terres sostengono che i programmi di crediti di carbonio non riguardano tanto la tutela dell'ambiente quanto il profitto degli investitori stranieri
• In una regione che sta già lottando contro gravi impatti climatici - siccità, desertificazione e perdita di sicurezza alimentare - questi progetti esacerbano le vulnerabilità sociali e ambientali, mentre producono pochi dei benefici promessi in termini di posti di lavoro e infrastrutture

Ad accompagnare gli animali al pascolo sono i figli di Ingahy, Razily e Rabega. Dopo quasi un'ora di cammino nei campi di horo, e dopo aver attraversato l'unica strada asfaltata della provincia, la statale RN7, gli zebù si fermano nella zona abituale di pascolo. Razily e Rabega, sdraiati al sole, ingannano il tempo fumando sigarette di tabacco naturale, sonnecchiando, parlando di musica e di ciò che accade nei dintorni. Ma di recente le loro conversazioni hanno assunto un tono sempre più preoccupato e ruotano sempre attorno allo stesso soggetto: Tozzi Green, una multinazionale italiana con sede in Emilia Romagna.

«Questo pezzo di terra, dove abbiamo sempre portato i nostri animali a pascolare, ora è di Tozzi Green. Ci sono state tante riunioni ma loro continuano a insistere», spiega Rabega.

Negli ultimi anni, raccontano con preoccupazione, diversi allevatori sono stati multati o cacciati con i cani perché i loro zebù sono stati sorpresi a pascolare sulle terre dove la compagnia aveva iniziato a piantare il mais.

«Se Tozzi Green andrà avanti con i suoi progetti - dice Rabega - non potremo più venire qui. Non so cosa faremo».

L'accusa di land grabbing

Questo conflitto, all'apparenza così distante, è approdato direttamente in Italia il 13 ottobre 2023, quando l'organizzazione non governativa ActionAid, insieme alle associazioni malgasce BIMTT e Collectif Tany, ha presentato un'istanza presso il Punto di Contatto Nazionale dell'OCSE in Italia contro Tozzi Green e la sua controllata malgascia JTF (Jatropha Technology Farm Madagascar).
Si tratta, secondo ActionAid, del primo contenzioso in Italia relativo a un'accusa di land grabbing, cioè di accaparramento illecito di terre. Oltre a Tozzi Green, sono stati coinvolti anche i governi belga e finlandese, che hanno finanziato i progetti agroindustriali della multinazionale italiana attraverso le loro banche pubbliche di sviluppo.

Il nodo del conflitto è appunto la proprietà delle terre: del demanio, secondo lo Stato malgascio e Tozzi Green; delle comunità locali, secondo le associazioni che hanno presentato l'istanza.

«Il land grabbing è una pratica per cui, per il profitto di multinazionali straniere, le autorità pubbliche locali sottraggono le terre ai legittimi occupanti, alle comunità locali - e questo quasi sempre avviene nel quadro di una legalità formale», spiega Luca Saltalamacchia, avvocato specializzato in cause civili che riguardano i diritti umani e l'ambiente e che segue il caso per conto delle associazioni.

Formalmente, Tozzi Green ha siglato due contratti, ottenuti e visionati da IrpiMedia: uno nel 2012 e uno nel 2018, per l’affitto di terreni in diversi comuni della provincia di Ihorombe, al prezzo di 63mila euro l’anno, per trent’anni. In Madagascar la questione della proprietà della terra è legata a doppio filo con l'occupazione coloniale francese, durata fino al 1942. I titoli fondiari stabiliti dal regime coloniale hanno di fatto escluso i cittadini malgasci dalla possibilità di acquistare formalmente la terra: per decenni quindi il possesso della terra è stato tramandato oralmente.

Nel 2005, una riforma agraria ha riconosciuto i diritti di chi occupa i terreni anche senza un atto di proprietà formale, ma nella pratica le cose sono ancora confuse, anche perché nella maggior parte delle province, tra cui quella di Ihorombe, non esiste un ufficio del catasto, pur essendo previsto dalla legge. Secondo le associazioni quindi, Tozzi Green, avrebbe approfittato di una legislazione poco chiara e della connivenza dello Stato malgascio e dei politici locali.

La questione del land grabbing in Madagascar è esplosa nel 2008 con l'accordo segreto tra il governo di Marc Ravalomanana e la multinazionale sudcoreana Daewoo, che prevedeva la concessione di 1,3 milioni di ettari per 99 anni per coltivare mais destinato all'esportazione. Ne scaturì uno scandalo che portò alla cancellazione dell'intesa e a proteste che culminarono nel colpo di Stato del 2009 e l'ascesa al potere di Andry Rajoelina. Nonostante le promesse di frenare lo sfruttamento straniero, Rajoelina, attuale presidente del Madagascar, ha fatto ben poco.

Il Collectif Tany è nato proprio sull'onda dell'indignazione provocata dal caso Daewoo: «Poco tempo dopo abbiamo saputo del caso Tozzi Green direttamente da alcuni attivisti locali, perché in questa regione la resistenza della popolazione allo sfruttamento è sempre stata più forte che altrove», racconta Mamy Ratrimoarivony Rakotondrainibe co-fondatrice del Collectif Tany.

«Il problema è il mancato rispetto dei diritti delle comunità locali e i modi illeciti, le pressioni, con cui Tozzi Green e le autorità locali cercano di estorcere il loro consenso».

L'altopiano di Ihorombe è una regione periferica, storicamente marginalizzata dalle istituzioni centrali, con un indice di povertà del 78%, sette punti sopra la media nazionale e scarsamente popolata. Nei tre comuni principali (Andiolava, Satrokala e Ambatolahy) vivono circa 35mila persone, prive di accesso a infrastrutture sanitarie e ai servizi pubblici di base: la maggior parte degli agglomerati non ha accesso ad acqua corrente ed energia elettrica. Per avere un'idea della scarsità di risorse economiche basta guardare il budget della municipalità più estesa, Ambatolahy: circa ottomila euro l'anno.

Mais, biocarburanti, gerani e crediti di carbonio: il business di Tozzi Green in Madagascar

Lasciando alle spalle il capoluogo Ihosy, la statale RN7 si arrampica sull'altopiano di Ihorombe con una serie di ampi tornanti. Un checkpoint della Gendarmerie, la polizia di Stato, delimita l'ingresso nell'altopiano. Dopo circa mezz'ora di guida, a metà strada tra il checkpoint e il Parco Nazionale di Isalo, svoltiamo a destra, all'altezza di un modesto ristorante, imboccando un sentiero sterrato che, in tre quarti d'ora, conduce a Satrokala.

Poco prima dell'ingresso nel centro urbano, il paesaggio circostante muta all'improvviso. I pascoli incolti lasciano spazio a ordinati filari di alberi che tracciano il confine di decine di parcelle di terreno coltivate a geranio, con un moderno sistema di irrigazione a goccia. Più avanti, lungo il corso di un fiume, è stata costruita una piccola diga: da questo bacino artificiale, in cui le donne lavano stoviglie e vestiti, proviene parte dell'acqua che serve ad irrigare le piante. Non molto distanti, svettano una pala eolica e un ripetitore, che garantiscono energia elettrica e connessione internet al compound di Tozzi Green: è qui che l'azienda romagnola ha stabilito dal 2012 la sua sede operativa.

Proseguendo per qualche centinaio di metri tra le case, raggiungiamo il municipio, un edificio basso e spoglio, affacciato su uno spiazzo in terra battuta, dove ci accoglie il sindaco in una piccola stanza, con una scrivania occupata da un computer e una stampante, due oggetti rari nei dintorni.

Joel Jean De Diea, 36 anni, è un uomo dall'aspetto distinto, e dai modi apparentemente cauti e garbati. «Siamo fieri che una grande società come Tozzi Green abbia deciso di stabilirsi qui a Satrokala», esordisce, mentre sistema indaffarato un plico di carte sulla scrivania.

De Diea ha lavorato come amministratore contabile per Tozzi Green fino al 2016 ma, assicura, non è per questo che difende l'azienda: «Si tratta di una società che porta sviluppo e miglioramento per il nostro Comune. Se andasse via, sarebbe una catastrofe». Chi è contrario, afferma De Diea, lo è per ragioni esclusivamente ideologiche: «Sono persone culturalmente arretrate, chiuse: rifiutano tutte le forme di sviluppo per una questione di mentalità».

Tozzi Green, da Ravenna al Madagascar

Il progetto imprenditoriale di Tozzi Green a Ihorombe è iniziato con la coltivazione della Jatropha curcas, una pianta originaria dell'America Centrale. Nei primi anni 2000, questo arbusto ha conosciuto un successo senza precedenti: era, si diceva, la fonte di energia sostenibile del futuro, una pianta ideale per la produzione di biocarburanti, ad alto rendimento e in grado di resistere a condizioni ambientali estreme.

Ma il successo della jatropha è stato tanto improvviso quanto di breve durata. Le previsioni (gonfiate) sul rendimento della pianta non si sono mai concretizzate e le coltivazioni sono state via via abbandonate un po' ovunque.

Nel 2014 Tozzi Green ha riconvertito le coltivazioni di jatropha in mais, piante leguminose e gerani per la produzione di oli essenziali. Di recente, però, anche il mais è stato quasi completamente abbandonato, dopo due anni di scarsissima rendita a causa delle condizioni climatiche avverse.

Così, Tozzi Green ha deciso di investire in un nuovo progetto: piantare alberi per poi vendere crediti di carbonio sul mercato finanziario.

«Piantare alberi per continuare a inquinare»

Affinché gli alberi piantati da Tozzi Green possano essere tradotti in crediti finanziari da vendere e scambiare sul mercato volontario dei crediti di carbonio, il progetto deve essere verificato e approvato da Verra, la principale organizzazione, privata, che certifica le compensazioni delle emissioni di gas serra.

Tozzi Green stima di riuscire a ottenere la certificazione tra uno o al massimo tre anni.

In tutto sono già stati piantati quattro milioni di alberi, su 3.700 ettari di terreno, l'obiettivo è arrivare a cinquemila ettari entro il 2029: le piante sono di diverse specie: molte sono varietà non autoctone, scelte per la velocità di crescita e la capacità di adattarsi ad un clima semi arido. Usare varietà non autoctone per questi progetti è sempre rischioso, per gli effetti che queste possono avere sulla biodiversità locale

L'azienda stima di poter generare 2,7 milioni di crediti di carbonio in trent'anni, che in base alle fluttuazione del mercato potrebbero valere da 16 a 70 milioni di euro.

«È evidente a chiunque il fatto che piantare alberi in territori duramente colpiti dal cambiamento climatico e dalla desertificazione non può che essere un'azione positiva», afferma Davide Giachero, responsabile delle attività di Tozzi Green in Madagascar. «Come Tozzi Green stiamo realizzando un progetto positivo per il mondo, l'ambiente e la società».

Se è vero che un albero in un anno può assorbire circa 25 chili di anidride carbonica (CO2), ci vogliono almeno cento anni perché si verifichino effetti positivi sul clima, promessa su cui si basa l'intero sistema dei crediti di carbonio. Mediamente però i progetti di riforestazione, compreso quello di Tozzi Green, hanno una progettualità che non va oltre i 30 anni, il che solleva dubbi sull'efficacia di tutti i progetti basati su riforestazione. Infatti, se dopo 30 anni gli alberi piantati venissero abbattuti o bruciati, libererebbero nell'atmosfera l'anidride carbonica assorbita fino a quel momento, nullificando ogni effetto positivo.

Cosa sono i crediti di carbonio


E poi c'è la questione della comunità locale che, stando ai criteri stabiliti da Verra, dovrebbe mostrare di aver accolto di buon grado il progetto e di trarne dei benefici.

Al momento, Tozzi Green fornisce alcuni servizi alla popolazione di Satrokala, nello specifico una clinica medica aperta dal 2012, che però non rientra in nessun protocollo d'intesa nel quadro della restituzione alla comunità locale.

Da quando Tozzi Green è arrivata a Ihorombe più di dieci anni fa, i dissidi con la popolazione locale, scaturiti dal contenzioso sulla proprietà dei terreni, non si sono mai del tutto sopiti. Anzi, negli ultimi anni, per certi versi, le cose sono peggiorate. Se, infatti, il sindaco di Satrokala è nettamente a favore delle attività di Tozzi Green, dal vicino Comune di Ambatolahy, arrivano regolarmente lamentele e proteste.

L'agglomerato di case, in terra battuta e lamiera, che costituisce il centro di Ambatolahy si trova a Sud della strada provinciale, dal lato opposto rispetto a Satrokala. Alti cactus, disposti accuratamente, delimitano i cortili delle umili abitazioni. La piazza centrale, dove si affaccia il municipio, è uno spiazzo sterrato piuttosto desolante, reso vivo dalle bancarelle e da un nugolo di persone nel giorno settimanale di mercato.

Nel comune non c'è corrente elettrica, né illuminazione pubblica. Lo "sviluppo" promesso dalla compagnia italiana si riduce ad un lampione alimentato da un pannello solare. All'ingresso degli uffici comunali, uno stanzone con il soffitto fatiscente, un agente della polizia locale, con in testa un cappellino di Tozzi Green, controlla pigramente chi entra e chi esce. Una cassetta di legno grigia, fissata al muro e chiusa da un lucchetto, decorata con il logo dell'azienda romagnola, serve, ci spiegano, a raccogliere consigli, lamentele e domande di impiego da parte dei residenti.

In mezzo alla piazza, ad aspettarci, c'è Dama Jean Daré Ratolonjanahary, un giovane di 27 anni, dallo sguardo attento, con un sorriso timido e spontaneo. Ci accompagna a casa sua, un'unica stanza di pochi metri quadrati con il tetto in lamiera, dove vive con sua moglie, Raherina, e la loro figlia di due anni, Arena.

Jean Daré è cresciuto con la madre e gli zii, senza un padre, occupandosi insieme ai cugini degli zebù della famiglia. A scuola è sempre stato considerato come uno degli studenti più zelanti e dotati. A 23 anni, nel 2020, dopo aver messo da parte un po' di soldi si trasferisce a Fianarantsoa, ad un giornata di viaggio da Ambatolahy, per studiare agronomia: è qui, all'università, che conosce sua moglie.

Nello stesso anno, mentre è a casa per le vacanze, suo cognato lo convince a seguirlo ad una riunione tra la comunità locale e Tozzi Green (di cui Darè non aveva mai sentito parlare). «Il rappresentante dell'azienda parlava solo in francese - ricorda Jean Daré - e nessuno capiva cosa stava dicendo, così sono intervenuto. Da allora, il lonaki, uno degli anziani, ha deciso di darmi fiducia: mi ha detto che ero bravo a spiegare le cose alla gente e che dovevo continuare a farlo». Jean Daré inizia così a fare un po' ricerche e ad approfondire perché la popolazione locale fosse contraria.

Insieme ad altre persone dà vita all'associazione Comité de Défense des Terres: «È fondamentale che ci sia solidarietà tra le persone della comunità, e l'associazione è nata proprio per questo», racconta.

L'attivismo di Jean Daré si traduce anche e soprattutto nel rendere comprensibili ai membri della sua comunità informazioni spesso complesse, ma cruciali. In una serie di video pubblicati dal think tank Green Finance Observatory alcuni mesi fa, Jean Daré spiega in malgascio che cosa sono i carbon credit e in cosa consiste il progetto di piantumazione di alberi avviato da Tozzi Green: «I crediti di carbonio - spiega - sono una scusa per continuare a distruggere la natura in cambio di soldi».

Il Madagascar è il quarto Paese al mondo più esposto agli effetti della crisi climatica. Tra il 2021 e il 2022, per effetto della siccità nel Sud del Paese, oltre un milione di persone ha subito le conseguenze di una carestia senza precedenti.

«I crediti di carbonio non ci restituiscono ciò che è stato distrutto. Noi non siamo contro gli alberi, ma contro un sistema che lascia a noi i danni, gli effetti della crisi climatica, mentre i profitti vanno a società straniere», conclude Jean Daré.

Il problema sollevato da Jean Daré si estende ben oltre i confini del Madagascar. In pratica, grazie al mercato dei crediti le grandi aziende estrattive, del fossile, e non solo continuano indisturbate a causare danni ambientali irreversibili, nascondendosi dietro a progetti di compensazione che sono per lo più inutili.

Dal suo ufficio a Ihosy, il capoluogo a cui fa capo l'altopiano di Ihorombe, Jean Parfait Tovositrakasoamahafaly, direttore del Dipartimento ministeriale per l'agricoltura e l'allevamento nella regione guarda con preoccupazione alla diffidenza crescente tra la comunità locale e l'azienda italiana:

«Qui le persone sono abituate a negoziare, discutere, dialogare, prima di prendere delle decisioni o accettare dei progetti. Le persone non sono contrarie alla riforestazione in sé, ma ad un progetto che percepiscono come imposto dall'alto, con un approccio e metodi coloniali».

Repressione e promesse mai mantenute

Anche tra chi ha inizialmente accolto Tozzi Green e i suoi progetti c'è già chi si è pentito.

Meky Eduar, lonaki, cioè un anziano di Satrokala, ci accoglie nella hazomanga, il salone dove si tengono le assemblee della comunità. Intorno a lui ci sono almeno due dozzine di persone, giovani e anziani della comunità che vogliono ascoltare e partecipare alla conversazione.

Seduto a gambe incrociate su una stuoia, Eduar gesticola con veemenza, inclinandosi verso i suoi ascoltatori, come a volerli scrutare negli occhi e assicurarsi la loro attenzione.

«Quando Tozzi Green è arrivata qui, nel 2013, abbiamo ceduto gratuitamente 250 ettari delle nostre terre: eravamo convinti che in cambio avremmo avuto un vantaggio: un lavoro per i nostri figli, scuole, infrastrutture», dice.

Mentre parla, Eduar dispone davanti a sé una serie di documenti, mappe, e contratti che, spiega, ha firmato a nome della comunità. Che cosa ci sia scritto non lo sa esattamente, perchè sono tutti in francese, senza traduzione in malgascio: è stato costretto a fidarsi di quello che all'epoca gli è stato detto a voce.

«Siamo persone semplici, e apriamo il nostro cuore a chi ci fa delle promesse. Ma oggi siamo delusi», spiega.

Anche a Ivaro West, un agglomerato di poche casupole, i cui abitanti hanno quasi subito accettato la presenza di Tozzi Green sui terreni ad uso comunitario, si percepisce un certo malumore.
«Abbiamo accettato di cedere gratis i nostri terreni perché pensavamo fosse un vantaggio lavorare con i "bianchi", pensavamo che avrebbero aperto una scuola in francese… invece nulla», dice Fiharia Rayamandreny, lonaki della comunità.

Tozzi Green, secondo Rayamandreny, si è limitata ad acquistare un tetto in lamiera e sei banchi di legno per la scuola locale. L'unico insegnante (per una cinquantina di studenti) è senza stipendio da mesi perché, dice sempre l'anziano, questa è un'area dimenticata, in cui le istituzioni statali non investono.

Se Tozzi Green vuole assicurarsi l'autorizzazione da parte di Verra per vendere i crediti di carbonio, dovrà dimostrare tra le altre cose che il progetto sia ben accolto dalla comunità locale. Secondo il Collectif Tany questo ha portato di recente a un inasprimento della repressione contro le persone più contrarie al progetto: «Siamo molto preoccupati per le continue pressioni e tentativi di persuasione, effettuati anche tramite l'intervento della gendarmeria», ha scritto a maggio 2024 il Collectif Tany in una lettera aperta firmata da una decina di organizzazioni contadine e associazioni della società civile malgascia.

A questa lettera Tozzi Green ha risposto dicendo che si tratta di «accuse calunniose e diffamatorie», aggiungendo che «la presenza della Gendarmerie a certi incontri aveva l'unico scopo di garantire un clima sereno e imparziale a tutti i partecipanti, a meno che non si voglia mettere in dubbio l'integrità della polizia locale».

In un contesto segnato da un passato coloniale e da complesse tensioni tra le varie minoranze, può essere molto rischioso sottovalutare il ruolo delle forze di sicurezza e la percezione da parte delle comunità locali della Gendarmerie, il corpo di pubblica sicurezza che ha indirettamente raccolto l'eredità della polizia coloniale francese.

Maherelio (il nome è di fantasia per sua tutela) è un attivista originario dell'altopiano di Ihorombe, in cui torna ormai solo saltuariamente e con la massima discrezione. Lo incontriamo in una località che per salvaguardare la sua incolumità preferisce non rivelare.

«Ho sempre visto il mio ruolo come quello di un semplice mediatore, che fa di tutto per informare le persone dei loro diritti», dice. «Le intimidazioni nei confronti della comunità locale e soprattutto di chi come me si espone in prima persona, sono iniziate da subito, attraverso pressioni verbali e la presenza delle forze dell'ordine ai vari incontri».

A febbraio del 2020 le autorità passano ai fatti e Maherelio viene arrestato a Ihosy. Lo liberano dopo appena dieci giorni dopo una serie di proteste. Alla fine del 2023 è condannato per estorsione e abuso d'ufficio a due anni di prigione e a un'ammenda di centomila Ariary (circa venti euro) dal tribunale penale di Antananarivo, la capitale. Anche l'organizzazione per i diritti umani Front Line Defenders si è occupata del suo caso.

Negli ultimi tempi, Maherelio è stato costretto a diventare più cauto ma continua a denunciare la corruzione: «Chi ha cambiato idea riguardo al progetto lo ha fatto a causa delle pressioni. Oppure in cambio di denaro: non è una decisione del popolo ma dei soldi - prosegue -. Anche a me hanno offerto dei soldi, perché stessi zitto. Ma, lo giuro sulla testa dei miei antenati, rifiuterò sempre», afferma con fierezza.

L'istanza depositata in Italia contro Tozzi Green va a rilento: sono già trascorsi 12 mesi senza una risposta - un caso singolare secondo l'avvocato Saltalamacchia che segue il caso. Nella piana di Ihorombe intanto, dove da 500 anni la foresta era sparita, gli alberi di Tozzi Green continuano a crescere. Ma come dice un proverbio locale «Se un uovo si rompe per una forza esterna, la vita finisce. Se si rompe per una forza interna, la vita comincia», a significare che il vero sviluppo sta nell'autodeterminazione e non può essere imposto da fuori. Se è vero che nell'immaginario gli alberi rappresentano la rigenerazione di un territorio, qui sono più che mai un simbolo di discordia.

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Diritto di replica

Riceviamo e pubblichiamo

In merito al presente articolo, Tozzi Green ribadisce fermamente la correttezza del suo operato sottolineando come, al contrario di quanto riportato, tutte le aree impiegate nelle attività di Tozzi Green sono state ottenute nel pieno rispetto e in conformità alle leggi malgasce e con la partecipazione dello stato del Madagascar, oltre che con il coinvolgimento della popolazione attraverso numerose consultazioni pubbliche sempre in concerto con le autorità. Inoltre, l’azienda ha da anni promosso una serie di importanti iniziative di carattere economico, sociale e culturale a beneficio delle comunità locali delle aree in cui opera in Madagascar. Per citare soltanto alcuni esempi: la costruzione di infrastrutture scolastiche, ospedaliere e di terreni di gioco, la creazione di associazioni locali e le donazioni di materiale scolastico e sportivo.

La società rigetta infatti ogni accusa riguardo presunte pressioni o minacce alla popolazione locale: nessun rappresentante, dipendente o collaboratore a qualsiasi titolo di Tozzi Green ha mai tenuto o terrà condotte intimidatorie e/o aggressive nei confronti di alcuna persona. A questo proposito, si ribadisce che la presenza della gendarmeria ad alcuni incontri ha avuto esclusivamente una funzione di garanzia a beneficio di tutti i presenti coinvolti.

Per quanto riguarda il progetto di riforestazione, è essenziale sottolineare che negli ultimi anni i risultati dell’attività agricola sono stati compromessi da un’imponente riduzione delle piogge che sta tuttora interessando l’intero Madagascar meridionale. L’alternativa progettuale perseguita da Tozzi Green è stata ideata proprio al fine di tutelare l’affidamento di tutti i soggetti interessati: l’attività di riforestazione potrà senz’altro contribuire a risolvere il grave problema del cambiamento climatico determinando un miglioramento delle condizioni microclimatiche dell’area attraverso la piantumazione di specie arboree accuratamente selezionate e non invasive. Inoltre, è importante evidenziare che il meccanismo dei crediti di carbonio è riconosciuto in tutto il mondo come uno dei sistemi più efficaci per facilitare la lotta al cambiamento climatico. Il sistema è strettamente controllato da rigide norme e richiede una grande quantità di documentazione, ispezioni locali e controlli continui sulla creazione e la gestione delle iniziative.Infine, per chiarire tutti gli aspetti relativi all’istanza presentata al PCN, si rimanda alla sezione di approfondimento dal titolo “Focus Madagascar” disponibile sul sito di Tozzi Green.


  •   IRPI
  • 11 December 2024

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