La terra dell´Africa rubata ai contadini

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 (Foto: Tyler Hicks/New York Times).

la Repubblica | 23 Dicembre 2010 | Original

NEIL MACFARQUHAR

I governi affittano i campi a grandi investitori e potenze straniere. Il tutto all´insaputa degli agricoltori. Ma Onu e Banca Mondiale dicono che solo migliorando le tecniche delle colture si potrà sfamare più gente.  Sudan, Mozambico ed Etiopia fra le nazioni che stanno cedendo milioni di ettari. Il dramma in un villaggio del Mali "Abbattono le nostre case e si prendono tutto"
 
SOUMOUNI (MALI). La mezza dozzina di stranieri piombata in questo remoto villaggio dell´Africa occidentale ha portato notizie allarmanti ai contadini della zona: «Questa sarà l´ultima stagione in cui potremo coltivare i nostri campi - dice Mama Keita, 73 anni, capo di questo villaggio nascosto in mezzo a una fitta boscaglia - dopo di che abbatteranno le case e si prenderanno la terra. Ci hanno detto che questa terra è di Gheddafi».

In tutta l´Africa e negli altri Paesi in via di sviluppo, una nuova corsa alla terra ne sta inghiottendo grandi estensioni coltivabili. Nonostante le loro tradizioni ancestrali, gli scioccati abitanti di piccoli villaggi stanno scoprendo che le loro terre il più delle volte sono proprietà dei governi africani, che le hanno affittate per i decenni a venire, spesso a poco prezzo, a investitori privati e governi stranieri. Organizzazioni come le Nazioni Unite e la Banca mondiale sostengono che questo metodo, se praticato equamente, potrebbe contribuire a sfamare una popolazione mondiale in aumento, introducendo l´agricoltura commerciale su larga scala in zone che ne sono prive. Ma altri condannano gli accordi definendoli ruberie neocoloniali che distruggono i villaggi e creano una massa instabile di poveri senza terra. A peggiorare le cose, c´è il fatto che gran parte del cibo prodotto è destinata alle nazioni più ricche. «La sicurezza alimentare del Paese interessato deve essere messa al primo posto, senza eccezioni - dice l´ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, che ora lavora ai problemi dell´agricoltura africana - altrimenti è puro e semplice sfruttamento, e non funzionerà».

Uno studio della Banca mondiale pubblicato a settembre, segnala che nei primi 11 mesi del 2009 sono stati registrati accordi relativi a terreni agricoli per almeno 45 milioni di ettari. Più del 70 per cento di questi accordi riguarda terreni africani, con nazioni come Sudan, Mozambico ed Etiopia che stanno cedendo agli investitori milioni di ettari. Prima del 2008, la media globale di accordi analoghi non superava i quattro milioni di ettari l´anno. Ma la crisi alimentare di quell´anno, che provocò rivolte per il cibo in una dozzina di Paesi, ha scatenato l´abbuffata. «C´è un interesse persistente all´acquisizione di terreni, ad altissimo livello», dice Klaus Deininger, l´economista della Banca mondiale autore del rapporto, che ricava molte delle cifre dal sito del patrocinio Grain perché i governi non rendono pubblici i dati relativi agli accordi. Il rapporto in linea generale sostiene gli investimenti, ma rivela anche che molti sono speculazioni, che i terreni spesso vengono affittati a meno del loro valore e restano incolti, che i contadini vengono cacciati senza alcun rimborso e finiscono con l´occupare i parchi naturali. E che le nuove imprese creano molti meno posti di lavoro di quelli promessi.

I contadini hanno dovuto abbandonare le terre in Paesi come l´Etiopia, l´Uganda, la Repubblica Democratica del Congo, la Liberia, lo Zambia. In Mali, più di un milione di ettari lungo il fiume Niger sono controllati da un fondo statale, l´Office du Niger. In ottant´anni sono stati irrigati solo 80mila ettari, perciò il governo vede i nuovi investitori come una vera fortuna. «Anche dando la terra alla popolazione, non hanno mezzi per svilupparla, e non li ha nemmeno lo Stato», dice Abou Sow, il direttore esecutivo dell´Office du Niger. Sow fa l´elenco dei Paesi che hanno già fatto investimenti o espresso interesse anche tramite privati: Cina e Sudafrica per la canna da zucchero, Libia e Arabia Saudita per il riso, e poi Canada, Belgio, Francia, Corea del Sud, India, Olanda e multinazionali come la Banca per lo sviluppo dell´Africa occidentale. Sow sostiene che molti investitori sono maliani, ma ammette che investitori stranieri come i libici, che qui hanno noleggiato 100mila ettari, spediranno riso, buoi e altri prodotti in Patria.

L´accordo con i libici assegna loro i terreni per almeno cinquant´anni, chiedendo come unica contropartita che li sviluppino. Ci vorranno anni prima che le terre diventino produttive. Ma alcuni funzionari fanno notare che la Libia ha già speso oltre 50 milioni di dollari per costruire un canale di 38 chilometri e una strada, a beneficio dei villaggi della zona. Tutti i contadini danneggiati, ha aggiunto Sow, riceveranno un rimborso. Ma rabbia e sfiducia dilagano. In una manifestazione del mese scorso, i contadini hanno chiesto voce in capitolo negli accordi fatti. «La terra è una risorsa che il 70 per cento della popolazione usa per sopravvivere - dice Kalfa Sanogo, economista del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo in Mali - Non puoi buttare fuori il 70 per cento della popolazione, né puoi semplicemente dirgli di diventare tutti braccianti». Un progetto americano da 224 milioni di dollari, invece, segue un approccio differente: lo scopo è aiutare 800 contadini maliani ad acquisire i diritti di proprietà su cinque ettari di terreni appena disboscati.

Soumouni dista circa 32 chilometri dalla strada più vicina. «Siamo tutti molto spaventati», dice Sekou Traoré, 69 anni, uno dei 2.229 abitanti del villaggio. «Saremo noi a finire vittime di questa situazione, ne sono certo».

The New York Times La Repubblica  (Traduzione Fabio Galimberti)

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