Diokoul, in lotta per la terra
Nigrizia | 10 Luglio 2017

SENEGAL / LAND GRABBING
DIOKOUL, IN LOTTA PER LA TERRA

Una comunità di contadini da un anno si batte contro un accordo tra il proprio comune e una grande compagnia indiana di agro-business che assegna mille ettari di terreni coltivati alla produzione intensiva di patate. Una battaglia che la dice lunga sulle politiche di accaparramento di terre in Africa.

di Marta Gatti

La comunità contadina di Diokoul, in Senegal, per un anno ha protestato, manifestato e lanciato appelli per fermare i lavori di recinzione di 1000 ettari di terra. Il 30 giugno scorso la loro lotta sembra essere arrivata ad un momento di svolta. Alla fine del mese, infatti, la compagnia indiana Senegindia, a cui era destinata la concessione di terre in tre villaggi nella municipalità di Diokoul, ha abbandonato i luoghi e ritirato i materiali di costruzione. Diversi media locali e la principale organizzazione che raggruppa i contadini senegalesi (il Consiglio nazionale di concertazione e cooperazione rurale) parlano di un accordo, di cui non si conoscono i dettagli, raggiunto con la mediazione del governatore della regione nord occidentale di Louga. Da tempo la popolazione locale chiedeva all’azienda di ritirarsi e di fermare i lavori di installazione della piantagione.

A Diokoul le proteste cominciarono nel giugno del 2016 quando una delibera del consiglio municipale cittadino approvò la concessione di 1000 ettari, per un progetto di coltivazione di patate. Alla fine del mese scorso le manifestazioni si sono fatte più frequenti e sono culminate, il 20 giugno, in una giornata di protesta cittadina. Durante la manifestazione, che si è svolta nei pressi del palazzo municipale, è intervenuta anche la polizia lanciando lacrimogeni e arrestando sei persone con l’accusa di saccheggio e di aver distrutto alcune automobili.

La popolazione che si oppone al progetto dice di non essere stata consultata prima della decisione di affidare le terre ad un’azienda privata e di aver coltivato quei terreni per generazioni. Alcuni cittadini e contadini spossessati dei campi, si sono rivolti alla Corte Suprema senegalese per chiedere la sospensione della decisione del consiglio municipale cittadino.

Giustizia inascoltata

Nel dicembre 2016 la Corte Suprema ha dato ragione ai querelanti, disponendo la sospensione della delibera municipale e sostenendo la legittimità della richiesta dei contadini di tutelare le terre coltivate da decenni. Nonostante la sentenza però, i lavori di allestimento delle piantagioni sono proseguiti. A scatenare la nuova ondata di proteste lo scorso giugno è stata proprio la decisione di Senegindia di continuare i lavori di recinzione dei terreni e di implementazione delle infrastrutture, nonostante la sentenza dell’Alta corte del paese.

Il ricorso alla massima autorità giuridica non è stata l’unica strada percorsa dalla popolazione locale. Le donne della comunità avevano chiesto anche l’intervento del presidente Macky Sall, annunciando di essere pronte ad immolarsi nel caso in cui le terre non fossero state restituite ai contadini.

La compagnia Senegindia, creata nel 2008 con capitali indiani, è già attiva in Senegal nel mercato immobiliare e agricolo, ed è titolare di una concessione di più di 5000 ettari a Mbane, nella regione di Saint Louis, dove produce patate, cipolle e altre orticole. Il progetto agricolo di Senegindia a Diokoul avrebbe previsto una produzione annuale di 45.000 tonnellate di patate e, secondo i sostenitori dell’investimento, la compagnia avrebbe messo in opera anche infrastrutture per la distribuzione di energia e acqua potabile, oltre ad un centro medico.

Sostegno politico alle concessioni

Il presidente senegalese non è intervenuto direttamente nella vicenda di Diokoul, ma ha mostrato il suo sostegno alla politica di concessione delle terre a soggetti privati. In occasione dell’inaugurazione di una camera frigorifera nella fattoria di Mbane, gestita proprio da Senegindia, aveva sottolineato l’importanza degli investimenti privati nel settore agricolo. Durante la visita, Macky Sall aveva parlato della necessità di valorizzare le terre che non vengono coltivate dalla popolazione locale e aveva invitato le comunità a non rappresentare un freno allo sviluppo.

In molti casi sono proprio le terre gestite dalle comunità ad essere considerate dal governo sotto sfruttate e quindi bisognose di investimenti privati, spesso stranieri. Le terre a maggior rischio concessione sono quelle che le popolazioni utilizzano per l’allevamento estensivo o i terreni in cui le colture sono periodiche e legate alla stagionalità delle piogge. Secondo i dati raccolti in questi anni dalla piattaforma Land Matrix i contratti fondiari che hanno interessato il paese dell’Africa occidentale sono 22, per un totale di circa 300 mila ettari, di cui la metà sono già in fase produttiva. La maggior parte degli accordi conclusi prevede un affitto di durata variabile tra i 10 e i 99 anni. Secondo il report del 2016 pubblicato da Land Matrix, il 70% delle terre concesse a soggetti privati è destinata alla produzione di agro carburanti e solo l’8% prevede invece colture alimentari.

 
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